
Il gioco delle “parti”
Dentro di noi vivono molte sfaccettature, tutti rami e frutti dello stesso albero, noi stess*.
E’ come se – oltre alla famiglia esteriore – avessimo una famiglia interiore, e non sempre nutriamo ammirazione e/o simpatia per tutti i membri in oggetto.
Così proviamo ad ignorarli, allontanarli dalla nostra coscienza, o ancora criticarli, come facciamo nel caso di traumi irrisolti riattivati nel presente con emozioni complesse; abbiamo già sperimentato cosa accade se mettiamo la polvere sotto il tappeto.
Più tenderemo a “sopprimere” un vissuto emotivo, più smetteremo di rispondere con un atteggiamento adeguato alle circostanze della vita che ci risollecitano antiche ferite e perderemo rovinosamente il controllo, reagendo ed enfatizzando l’accaduto, salvo poi provare un atroce senso di colpa.

Riconoscere, nominare, accogliere, reintegrare, confortare
Ma come si chiamano queste parti? Qual è il loro identikit? Come fare per riconoscerle?
Come dicevamo abbiamo delle parti vulnerabili di cui ci vergogniamo, frutto di passati vissuti di disagio e/o dolore; in gergo tecnico si chiamano: “Parti esiliate”.
Ci convinciamo – erroneamente – che riviverle nelle sensazioni corporee per elaborarle ci causerebbe troppa sofferenza; in realtà, come dice la mia maestra Nicoletta Cinotti, quel dolore non ci ha ucciso..perchè potrebbe, dovrebbe o vorrebbe farlo ora?
La compagnia si arricchisce poi dei protettori, proattivi o reattivi (le nostre difese a presidio del nostro Sè).
I protettori proattivi cercano di “Compensare” intorpidendoci o creando delle dipendenze ( da cibo, alcool, o droga ad esempio), quelli reattivi causano più male di quello che ci provoca il disagio in oggetto.
La loro intenzione è buona …ci hanno permesso di sopravvivere quand’eravamo piccoli ed indifesi; semplicemente ora queste difese sono anacronistiche e possiamo lasciarle andare.
Come?
Esplorando cosa accade nel corpo per prima cosa: spesso ci sono indizi fisiologici come mani tremanti, battito cardiaco elevato o costrizione e tensione nel corpo. Possiamo uscire dalla parte dicendo qualcosa come: “Sono consapevole che una parte di me si è attivata”.
Possiamo rivolgere alla parte parole di gentilezza, come: “Mi dispiace che tu stia soffrendo, ma apprezzo i tuoi sforzi per aiutarmi. Di cosa hai bisogno?”. Spesso le nostre parti hanno bisogno di un senso di amore, di appartenenza e di sicurezza. Possiamo offrirlo con rassicurazioni come “Sono qui per te, non ti abbandonerò, resto in ascolto di ciò che vuoi trasmettermi”.
Praticando la consapevolezza del momento presente e l’accettazione amorevole, impariamo a perdonare, perdonarci e confortarci. Sostituiamo il biasimo alla compassione.
Quando siamo compassionevoli con le nostre parti, esse perdono la loro presa su di noi. Otteniamo una maggiore chiarezza e possiamo fare scelte più sagge.
Non possiamo controllare ciò che ci accade, ma possiamo scegliere come rispondere.
Non possiamo smettere di vacillare (è sempre un gioco di delicati equilibri stare al mondo), ma possiamo occuparci saggiamente di procedere un passo alla volta, metaforicamente parlando.
E’ cosi che dalle micro-categorie (le parti vulnerabili e le difese) ripristiniamo un sano equilibrio fra le macro categorie: il bambino che vive in noi, l’adulto che ora siamo – nel momento in cui ci assumiamo la responsabilità della nostra preziosa esistenza – ed il genitore potenziale, di noi stessi in primis e poi dei nostri figli se ne abbiamo, biologici o psicologici.
E’ così che sprigioniamo le risorse interne alla nostra mente, perchè ne abbia giovamento il corpo (se cambiano i pensieri, le emozioni non hanno più bisogno di manifestarsi con forza dirompente, e smettiamo di somatizzare) e l’anima possa librarsi ed esprimersi.

La via di ritorno al nostro Sè , il nostro maestro interiore
E’ così che torniamo a casa, riscoprendo le qualità del nostro Sè : la calma, la fiducia, il coraggio, la curiosità, la compassione, la connessione, l’entusiasmo, la saggezza.
Smettiamo di resistere.
Trasformiamo la paura in coraggio.
Non trasmutiamo un dolore passato in una sofferenza che si perpetra all’infinito ogni volta che qualcosa nel nostro presente ci rimanda a momenti trascorsi anni fa, praticando dannosi automatismi e non permettendoci di vivere appieno.
Scegliamo la gioia e l’autentica libertà.
A questo scopo ci è utilissima la pratica di mindfulness, che ci aiuta a percepire i segnali di chiusura o apertura verso l’esperienza, e ci guida alla risoluzione dei disallineamenti interni.
Non abbiamo bisogno di una vita perfetta, necessitiamo di un’esistenza autentica.
Partire dall’amarci per quello che siamo e sperimentiamo, validando tutte le parti di noi ed i loro comportamenti è l’uscita dal disco rotto in cui ci troviamo in certi momenti della nostra vita.

L’arte del riportare alla luce
Non abbiamo bisogno di scavare sempre e necessariamente in profondità; possiamo intanto usufruire degli strumenti forniti da una consapevolezza aperta per non lasciar incancrenire vecchie crepe trascurate.
Lasciamo entrare la luce, come ci esorta a fare Leonard Cohen.
Ecco alcuni spunti pratici, tratti dal Reparenting:
Find: che cosa attira la nostra attenzione in questo momento? Dove notiamo qualcosa di interessante?
Focus: il passo successivo è rivolgere l’esplorazione all’interno, alla percezione di sé.
Flesh out: entriamo nel dominio sensoriale. Possiamo vedere questo aspetto? Dove si colloca nel corpo? Se lo vediamo che apparenza, colore, forma ha? Se non lo vediamo, come potremmo definire l’esperienza che ne abbiamo in questo momento? Assomiglia a qualcosa? potremmo descriverlo attraverso una metafora? È un aspetto che sentiamo vicino o lontano?
Feel: Come ci sentiamo rispetto a questo aspetto? Questo elemento è un elemento centrale perché è qui che potremmo incontrare resistenze ed ostacoli dovuti al nostro pregiudizio contro di noi. Queste parti hanno funzionato in modo indisturbato finora e noi entriamo in campo in un sistema che ha un suo equilibrio. Normale incontrare resistenze: pericoloso non accorgersene. Spesso abbiamo solo bisogno di riconoscere e validare la reattività e trovare un terreno di accordo, uno spazio libero da conflitto.
BeFriend: Se siamo arrivati qui possiamo iniziare a sviluppare una relazione amichevole con questa parte di noi. Possiamo riconoscere se il suo modo di procedere è efficace, che cosa potrebbe fare di alternativo o diverso. potremmo scoprire quanto è vecchia, ossia quanto è legata ad aspetti della nostra infanzia e adolescenza. Potremmo addirittura chiederle quanti anni ha…e così via, mantenendo un atteggiamento amichevole e curioso.
Fear. Anche se ci è difficile ammetterlo, abbiamo paura di cambiare. Abbiamo bisogno di essere incoraggiati per fare un cambiamento anche quando lo riteniamo positivo, come succede per esempio con le diete o con lo smettere di fumare. Riconoscendo che cosa questa parte ha fatto di buono per noi ed esplorando che cosa temiamo potrebbe succedere se smettesse di fare questo lavoro, non nascondiamo la nostra paura. Dietro al nostro mantenere comportamenti nocivi sta sempre una paura più grande: cosa potrebbe succedermi se smettessi di fare questo?

Così liberiamo la nostra storia…e salpiamo verso nuove avventure
Ora sappiamo che un errore è un semplice tentativo e solo così possiamo evolvere continuando ad apprendere.
I nostri genitori hanno fatto con noi il meglio che hanno potuto con gli strumenti che avevano..come facciamo anche noi.
Ora possiamo noi accudirci ed accudire, in maniera più funzionale e facendo pace col nostro passato.
E’ così che si sviluppa l’empatia ed il nostro corpo può tornare ad auto-regolarsi ed auto-guarirsi.

E’ l’alba del nostro nuovo giorno: non sprechiamo neanche un istante…abbiamone cura!
È una cura che richiede la giusta concentrazione e consapevolezza. Necessita dell’essere presenti e non distratti: proprio le qualità che coltiviamo con la meditazione mindfulness.
Torniamo a coltivare e notare lo stupore, la meraviglia, la bellezza…sta a noi scegliere cosa vedere, attenzionare e di cosa nutrirci. Pratichiamo la rinascita!
Posso aiutarti.
Contattami!
Chiara Virzì