Chiaramente

di Chiara Virzì
L'autostima: sfumature, applicazioni e strategie per bilanciarla

L’autostima: sfumature, applicazioni e strategie per bilanciarla

L’autostima è un argomento controverso: basti pensare a quanto siano poco conosciuti gli strumenti per nutrirla nel modo corretto e come il suo disequilibrio porti a sentimenti di inadeguatezza o addirittura tratti di narcisismo.

Essa può essere dunque costruita giorno dopo giorno attraverso strategie cognitive.

Il primo a definirla fu William James, il quale la concepì come il risultato scaturente dal confronto tra i successi che l’individuo ottiene realmente e le aspettative in merito ad essi.

Alcuni anni dopo Cooley e Mead definirono l’autostima come un prodotto che nasce dalle interazioni con gli altri.

Nel processo di formazione dell’autostima vi sono due componenti peculiari: il sé reale ed il sé ideale.

Il sé reale corrisponde a ciò che noi realmente siamo, mentre il sé ideale a come individualmente vorremmo essere.

Maggiore sarà la discrepanza tra ciò che si è e ciò che si vorrebbe essere, minore sarà la stima di noi stessi.

La presenza di un sé ideale può essere uno stimolo alla crescita, in quanto induce a formulare degli obiettivi da raggiungere, ma può generare insoddisfazioni ed altre emozioni negative se lo si avverte molto distante da quello reale.

Per ridurre questa discrepanza l’individuo può ridimensionare le proprie aspirazioni, ed in tal modo avvicinare il sé ideale a quello percepito, oppure potrebbe cercare di migliorare il sé reale (Berti, Bombi, 2005).

Possedere un’alta autostima significa saper riconoscere in maniera realistica ed impegnarsi per migliorare le proprie debolezze, apprezzando i propri punti di forza.

Tutto ciò garantisce più apertura all’ambiente e maggiori autonomia e fiducia nelle proprie capacità, con incremento della perseveranza nel riuscire in un’attività che appassiona o nel raggiungere un obiettivo a cui si tiene; le persone sono invece meno determinate in un ambito in cui hanno investito poco.

Viceversa, una bassa autostima può condurre ad una ridotta partecipazione ed uno scarso entusiasmo, che si concretizzano in situazioni di demotivazione in cui predominano disimpegno e disinteresse.

Vengono riconosciute esclusivamente le proprie debolezze, mentre vengono trascurati i propri punti di forza.

Le persone con una bassa autostima si arrendono molto più facilmente quando si tratta di raggiungere un obiettivo, soprattutto se incontrano qualche difficoltà o sentono un parere contrario a ciò che pensano.

Si tratta di persone che faticano ad abbandonare i sentimenti di delusione ed amarezza connessi allo sperimentare un insuccesso.

Inoltre, di fronte alle critiche, sono molto sensibili all’intensità ed alla durata del disagio provocato.

L'autostima: sfumature, applicazioni e strategie per bilanciarla

Ci si autovaluta in merito a tre processi fondamentali:

  1. Assegnazione di giudizi da parte altrui, sia direttamente che indirettamente. Si tratta del cosiddetto ‘specchio sociale‘: mediante le opinioni comunicate da altri significativi noi ci autodefiniamo.
  2. Confronto sociale: ovvero la persona si valuta confrontandosi con chi lo circonda e da questo confronto ne scaturisce una valutazione.
  3. Processo di autosservazione: la persona può valutarsi anche autosservandosi e riconoscendo le differenze tra se stesso e gli altri. Kelly (1955), il padre della Psicologia dei Costrutti Personali, considera ogni persona uno ‘scienziato’ che osserva, interpreta (i.e: attribuisce significati alle proprie esperienze) e predice ogni comportamento od evento, costruendo, tra l’altro, una teoria di sé per facilitare il mantenimento dell’autostima.

In generale la percezione di una distanza tra come siamo e come vorremmo essere genera emozioni negative di tristezza, tale per cui siamo portati in qualche modo a minimizzare tale differenza percepita.

A questo proposito esistono due tipi di ideali studiati: gli ideali propriamente intesi, ovvero esperienze, concetti e standard di riferimento a cui tendere e a cui riferirsi, e gli ideali negativi (sé temuti) ovvero situazioni, persone (reali o simboliche), mete e circostanze da cui le persone cercano di distanziarsi e di tenere lontane perché giudicano negativamente.

In generale il senso comune e la letteratura ipotizzano un ruolo negativo degli ideali sull’ autostima, specie se essi sono troppo ambiziosi ed irraggiungibili (Marsh, 1993).

Nonostante il chiaro valore che l’autoregolazione verso le mete ha per la società, poiché spinge l’individuo a migliorarsi e a tendere verso nuovi obiettivi, la rincorsa verso gli ideali ha dei costi individuali in termini di risorse mentali e senso del proprio valore.

L'autostima: sfumature, applicazioni e strategie per bilanciarla

Talvolta le autoanalisi che contribuiscono definire l’autostima di una persona sono falsate dalle sue distorsioni cognitive, ovvero da pensieri che inficiano la considerazione di sé.

Sacco e Beck (1985) indicano una serie di distorsioni cognitive, che sono:

  • Le inferenze cognitive, attraverso le quali gli individui maturano delle idee arbitrarie su se stessi senza l’avallo di dati reali ed obiettivi;
  • Le astrazioni selettive, per mezzo delle quali un piccolo particolare negativo viene estrapolato, divenendo emblematico e rappresentativo del proprio modo di essere;
  • Le sovrageneralizzazioni, per cui si è portati a generalizzare partendo, per esempio, da un singolo tratto di personalità che contraddistingue un individuo o da un singolo episodio esperienziale che lo ha visto protagonista;
  • La massimizzazione, che consente di implementare gli effetti negativi di una singola azione svolta;
  • La minimizzazione, la quale permette di rimpicciolire la portata positiva di qualche evento;
  • La personalizzazione, che autorizza a sentirsi colpevole per qualche evento negativo accaduto;
  • Il pensiero dicotomico, che non ammette sfumature nell’ambito delle assunzioni di responsabilità, riconducendo l’analisi ai costrutti del tutto e niente (visione in bianco e nero).

Le persone inoltre spesso cercano di spiegarsi un evento collegandolo ad una causa.

Sovente si tende ad attribuire un successo raggiunto ad una causa esterna alla persona, quale potrebbe essere la fortuna, oppure ad una causa interna, come ad esempio la tenacia.

Weiner, nel 1994, ha affermato che le attribuzioni possono essere distinte in base a tre dimensioni:

  • Locus of control: ossia se la causa di un successo (o di un fallimento) è interna o esterna alla persona;
  • Stabilità: per cui le cause possono essere stabili o instabili nel tempo (per esempio la facilità del compito è stabile, al contrario la fortuna è instabile);
  • Controllabilità: non tutte le cause possono essere controllate dal soggetto;

Pare che l’attribuzione a cause stabili, controllabili ed interne all’individuo abbia, in caso di raggiungimento di un successo, un innalzamento dell’autostima nell’individuo.

Di contro l’attribuzione a cause esterne a sé, instabili e poco controllabili portano ad un calo dell’autostima e della fiducia in se stessi.

L'autostima: sfumature, applicazioni e strategie per bilanciarla

Bassa autostima: le strategie per incrementarla

Secondo Toro (2010), per accrescere la percezione positiva di sé esistono diverse strategie, quali:

  • l’incremento delle capacità di problem solving, poichè spesso l’autostima è funzione delle proprie capacità di risolvere i problemi.
  • l’implementazione del dialogo interno (self – talk) positivo; l’autostima, infatti, può essere incrementata attraverso il dialogo positivo con se stessi, utilizzando la propria voce interiore. In altre parole, se noi per primi inviamo dei messaggi positivi alla nostra mente, è molto probabile che le autopercezioni possano migliorare.
  • la ristrutturazione dello stile attribuzionale, tesa a farci raggiungere una maggiore obiettività, grazie alla quale potremmo, ad esempio, interpretare gli avvenimenti o le situazioni che non dipendono da noi come semplicemente sfavorevoli.
  • il miglioramento dell’autocontrollo;
  • la modificazione degli standard cognitivi; ponendoci aspettative eccessivamente elevate, infatti, corriamo il rischio di non essere all’altezza di quelle attese e, quindi, di influenzare l’autopercezione.
  • il potenziamento delle abilità comunicative.

Secondo lo psicoterapeuta Luca Saita, sarebbero tre i meccanismi che interferirebbero negativamente con la creazione dell’immagine corporea, ovvero:

  • attacco diretto o indiretto
  • proiezione
  • etichettamento

Nel primo caso la persona subisce un attacco, diretto o no, al proprio corpo (‘Oggi hai davvero un aspetto orribile!’); nel secondo caso qualcuno, in modo inconsapevole, per liberarsi delle proprie caratteristiche fisiche ritenute inaccettabili, le attribuisce a qualcun altro (ad es., la madre che dice alla figlia ‘Non metterti quel vestito, ti ingrassa‘); nell’ultimo caso vengono attribuite delle etichette alla persona (il ‘nasone‘, il ‘roscio‘, ‘gambe storte‘).

Quando una persona viene costantemente sottoposta ad influenze negative di questo genere non c’è da meravigliarsi che impari a vedersi solo ed unicamente attraverso le lenti distorte della disistima.

Non bisogna sottovalutare gli effetti di un tale atteggiamento: l’immagine corporea, il modo in cui ci vediamo e ci presentiamo agli altri ha delle ripercussioni molto profonde a livello di sicurezza di sé; in altre parole, il vedersi brutti, il percepirsi inadeguati ha conseguenze che influiscono non solo sul corpo, ma anche sulla mente, sul modo di stare al mondo.

Chiaramente si tratta di un vissuto del tutto personale e soggettivo; esistono, com’ è possibile osservare nell’esperienza quotidiana di ciascuno di noi, persone considerate belle che, però, si vivono come costantemente inadeguate e sono sempre alla ricerca di un qualcosa che manca per sentirsi, finalmente, a proprio agio nel proprio corpo.

Al tempo stesso, ci sono persone che, pur avendo dei piccoli difetti, si vogliono bene, vivono il proprio corpo con serenità e trasmettono tale serenità anche all’esterno, in termini di sicurezza di sé.

Per questa ragione diventa importante aiutare la persona che non si accetta e tende ad ingigantire i propri difetti, fino, in alcuni casi, a non riuscire a condurre una vita gratificante, a prendere coscienza delle convinzioni erronee che sono alla base della percezione di sé, in modo da sottoporle ad un vaglio critico, riguadagnando un’immagine positiva.

Per fare ciò l’autore suggerisce alcune strategie, che passano attraverso il contestare le etichette e l’imparare a difendersi dagli attacchi mossi alla propria immagine di sé, anche e soprattutto quando questi attacchi vengono da persone significative.

In ultima analisi, bisogna tenere a mente che la mente è ‘come una lente: la visione di sé stessi e del proprio corpo avviene attraverso questa lente che può modificare, deformare, ampliare o distorcere ciò che osserva‘.

Dobbiamo quindi imparare a conoscere questa lente ed i suoi filtri, perché essa influisce non solo sul modo in cui vediamo il nostro corpo, ma sul modo in cui vediamo noi stessi in generale.

A sua volta, il modo in cui vediamo noi stessi è a fondamento del nostro modo di porci rispetto all’ambiente, alla nostra vita.

Per questo dobbiamo neutralizzare le visioni distorte che non ci permettono di volerci bene per come siamo; come scrive l’autore:

Date al vostro cigno una chance e non permettete mai a nessuno di convincervi che siete solo un brutto anatroccolo e che niente potrà cambiarvi.

Curiosità: autostima e bullismo

Le ricerche sono concordi nel sostenere che l’essere vittima di bullismo correla con la bassa autostima; meno chiaro è invece il ruolo che gioca l’autostima nel comportamento antisociale del bullo.

L'autostima: sfumature, applicazioni e strategie per bilanciarla

Parlando di autostima non si può infine includere l’autoefficacia …

Con il termine autoefficacia (Bandura, 2000) s’intende la fiducia nelle proprie capacità di escogitare le strategie che ci consentono di affrontare nel modo ottimale qualsiasi evenienza.

Il concetto di autoefficacia dipende da molte variabili, quali:

  • l’esito brillante di precedenti situazioni problematiche affrontate;
  • le esperienze vicarie, date dall’aver visto altri fronteggiare contesti situazionali difficoltosi ed esserne usciti vittoriosi;
  • le autopersuasioni positive;
  • lo stato di benessere derivante dall’aver superato prove particolarmente impegnative;
  • la capacità di immaginarsi vincenti in esperienze gravose.

Da ciò si evince che anche il concetto di autoefficacia interviene nelle valutazioni che la persona compie su se stessa e che, in ultima analisi, definiscono la sua autostima.

L'autostima: sfumature, applicazioni e strategie per bilanciarla

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